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“L’Italia Immobile – appalti, burocrazia, corruzione. I rimedi per ripartire” di Michele Corradino. Il Professor Aristide Police interviene alla Presentazione del 10 giugno alle ore 10.00

“L’Italia Immobile – appalti, burocrazia, corruzione. I rimedi per ripartire” di Michele Corradino. Il Professor Aristide Police interviene alla Presentazione del 10 giugno alle ore 10.00 Il Professore risponde a Netcoop su alcuni passaggi cruciali e strategici per la Federazione sul Codice dei contratti pubblici. Norme civetta, norme fantasma e stazioni appaltanti

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 “L’Italia Immobile – appalti, burocrazia, corruzione. I rimedi per ripartire” di Michele Corradino che offre più di uno spunto di riflessione anche alla luce del  DECRETO-LEGGE 31 maggio 2021, n. 77. “Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure” in questi giorni assegnato in prima lettura alla Camera dei Deputati.

Professore, un suo commento a caldo sul decreto appena pubblicato.

Esiste l’esigenza di affrontare questo tema non nell’emergenza ma nelle prossime settimane e mesi.

Ci sono tre ostacoli che il legislatore deve considerare e affrontare.

Innanzitutto la prima preoccupazione attiene al  modo in cui si scrivono le norme.

Corradino, in uno dei capitoli del suo libro “L’Italia immobile” affronta il tema delle norme civetta e delle norme fantasma.

Le norme civetta stabiliscono un principio, pongono un precetto ma vengono sospese o derogate da un altro precetto a carattere temporaneo.

Le norme fantasma invece esistono ma non vengono mai applicate.

Anche il decreto di cui siamo stiamo discutendo troviamo continui riferimenti e rinvii, date di durata di applicazione delle norme.

Questo è un limite forte degli uffici legislativi degli apparati ministeriali che, pur ricchi di grandi competenze e di grandi intelligenze, hanno ormai acquisito una tecnica redazionale dei testi normativi di cui non riescono a sbarazzarsi. E’ un limite culturale e professionale da cui non riescono a liberarsi, da un modo di scrivere che non è più compatibile con il contesto europeo e con quello della quotidianità perché è un modo non solo barocco ma incomprensibile di leggere un testo normativo.

Il secondo ostacolo è rappresentato dalla figura della stazione appaltante.

Quale stazione appaltante? Quante? con caratteristiche?

Su questo tema il decreto del 31 maggio oggettivamente ha fatto già un primo sforzo a legislazione vigente, cioè un tentativo di sollecitare in modo non obbligatorio, con senso di sano realismo ma anche di eccessiva prudenza, una incentivazione delle centrali di committenza già esistenti.

Per esempio mi riferisco all’articolo 10, comma 1, che stabilisce che le società interessate attraverso apposite convenzioni possono avvalersi del supporto tecnico e operativo di società in house qualificate. Analoga misura è quella che prevede il rafforzamento della capacità amministrativa di Consip e del sistema nazionale di e-procurement che troviamo nell’articolo 11.

Queste due misure dimostrano l’esigenza di un ripensamento delle centrali di committenza e delle stazioni appaltanti.

C’è anche un’altra norma in questo decreto che tende a favorire l’unione di comuni e gli enti territoriali come luogo per centralizzare quantomeno in ambito territoriale la committenza.

Queste sono tutte misure molto importanti che non possono essere rimesse né alla facoltatività né all’occasionalità propria di un decreto legge per forza di cose dettate dall’urgenza o come nella specie dall’emergenza. Noi abbiamo bisogno di un sistema che razionalizzi le stazioni appaltanti, le renda competenti e apprezzate e ne riduca fortemente il numero. Già i governi passati, soprattutto il  Governo Renzi quando varò il codice precedente, aveva pensato a una misura di questo genere attribuendo molto saggiamente all’Anac la qualificazione delle stazioni appaltanti ma poi per ragioni politiche varie questo disegno è stato vanificato.

Invece ritengo essenziale in questo disegno organizzativo la razionalizzazione delle stazioni appaltanti ad un numero congruo che sia a livello nazionale che regionale non preveda quella frammentazione rischiosissima che peraltro si risolve anche in frammentazione delle commesse che possono favorire le piccole imprese ma che in realtà non consentono alla media e grande impresa italiana di consolidarsi nella competizione anche  internazionale o comunque a livello continentale-europeo perché noi avremo sempre delle piccole imprese che lavorano in un piccolo comune e mai una concentrazione di commesse con contenuti e valori omogenei che possano rafforzare  il sistema industriale. Questo anche in danno dell’erario pubblico perché quando le commesse sono piccole, frazionate e frammentate c’è diversificazione degli imprenditori ma vi è anche un maggior costo per il sistema complessivo e l’erario o pubblico che comprende quello statale e quello degli enti pubblici territoriali.

Credo che queste siano le vere esigenze per ripensare il Codice in una prospettiva di medio periodo.

Viceversa abbiamo bisogno di vigilanza e di supporto nel settore dei contratti pubblici soprattutto nella qualificazione delle stazioni appaltanti, nel supporto interpretativo alle stesse, nella messa a disposizione di pareri che possano avere un rilievo e assicurare certezza e sicurezza ai responsabili nei procedimenti nelle singole amministrazioni. Questo è il compito di supporto e di ausilio dell’autorità che deve occuparsi dei contratti pubblici. Un ripensamento su questo è assolutamente necessario.

D- Il public procurement può essere una leva di sviluppo per il nostro Paese?

Credo che i sistemi elettronici di procurement siano importanti ma va anche considerato che gli appalti e le concessioni non sono tutti uguali. Ci sono quelli di lavori piccoli, medi e grandi. Ci sono quelli di forniture e quelli di servizi. Per alcune tipologie di affidamenti, soprattutto in materia di forniture e servizi, le aste e le procedure elettroniche sono pienamente rispondenti alla tipologia di confronto competitivo, per altre, soprattutto per le infrastrutture e le opere medio grandi, il sistema elettronico di procurement non è sempre adeguato e adatto. Questo non è un limite dei sistemi elettronici ma è proprio l’elemento connesso alla forte rilevanza, forte necessità di una valutazione di tipo tecnico qualitativo delle offerte perché gli automatismi dei sistemi elettronici non consentono una consapevole valutazione qualitativa ma si affidano a standard e soprattutto alla determinazione del livello dei prezzi come principale se non unico criterio di valutazione delle offerte.

Questo per servizi e forniture omogenee di lampadine o di rotoli di carta può valere: può essere comprensibile come l’elemento qualitativo, dati certi standard qualitativi, non abbia rilevo.

Per opere complesse, miste, caratterizzate da soluzioni tecnologiche o infrastrutturali particolari, chiaramente la valutazione rimessa al sistema elettronico non può funzionare. E non può funzionare neanche laddove si ipotizzino speciali algoritmi valutativi perché questi e l’intelligenza artificiale applicata a questi sistemi funziona, e molto bene, su grandi numeri quindi su molte procedure per il medesimo prodotto.

Se il servizio o l’opera è unica o piuttosto rara, è chiaro che nessun sistema di intelligenza artificiale, tarato sulle esperienze e feedback positive di molte esperienze, potrà valere perché si tratta di valutazione eccezionali o uniche.

Questo non riguarda soltanto le valutazioni su piattaforma elettronica ma riguarda i criteri di valutazione delle offerte che hanno costituito un motivo di scontro anche nella gestazione del decreto legge in discussione.

L’idea iniziale del Governo, su richiesta delle stazioni appaltanti, di utilizzare meccanismi sostanzialmente automatici nell’assegnazione delle commesse e cioè quello del criterio del prezzo più basso, è stata abbandonata grazie all’opposizione degli stakeholders e di alcune più illuminate forze politiche, lasciando l’attuale conformazione del Codice con la previsione del doppio criterio della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e del criterio del prezzo più basso.

Già il Codice, nella sua ultima versione, è sbagliato perché valorizza eccessivamente il prezzo più basso in contrasto con la disciplina europea. Le direttive europee che il nostro codice avrebbe dovuto recepire poneva il criterio del prezzo più basso come un criterio eccezionale, derogatorio da utilizzarsi con molta cautela perché il prezzo non è dirimente sia per la rilevanza significativa della qualità nella realizzazione delle opere sia soprattutto perché il prezzo è suscettibile di condizionamenti quali questi dell’anomalia e  delle offerte anomalamente basse che inizialmente venivano escluse e poi riammesse attraverso procedure di giustificazione.

Queste procedure tendono ad accettare qualsiasi giustificazione perché il criterio del prezzo più basso risulta vantaggioso anche in termini di rischio da parte delle procure contabili. Questo sistema è inaccettabile.

Il criterio del prezzo più basso è un rischio: è in contrasto con il diritto europeo e deve prevedere una riforma della procedura di valutazione dell’anomalia delle offerte che non può portare sempre a considerare realistiche ed accettabili queste offerte con prezzi insostenibili e fuori mercato.

E questo è l’altro elemento di delicatezza molto significativo che va introdotto in un nuovo ripensamento del Codice dei Contratti.

Si deve quindi agire su alcuni punti cardinali del Codice: sull’organizzazione, sui criteri per la valutazione delle offerte, sui criteri per l’esecuzione dei lavori dove il Codice attuale è molto carente, sulle norme dell’impiego del subappalto.

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