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European Green Deal, il piano Ue per l’ambiente

European Green Deal, il piano Ue per l’ambiente L’European Green Deal è il primo piano europeo sul clima, un vero e proprio patto climatico tra gli stati membri, presentato dalla Commissione Europea, che si propone di ridurre le emissioni al 55 per cento entro il 2030 e azzerarle – raggiungendo così la cosiddetta neutralità climatica – entro il 2050.

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Tre gli obiettivi principali: aumentare i finanziamenti dedicati alla decarbonizzazione europea nel prossimo decennio; creare un quadro abilitante per gli investitori privati e il settore pubblico; fornire supporto alle PA e sviluppatori nella fase di individuazione, strutturazione ed esecuzione dei progetti sostenibili.

Secondo le stime della Commissione, il raggiungimento degli obiettivi climatici per il 2030 - che includono la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 40% rispetto ai livelli del 1990 - costerà ulteriori 260 milioni di euro all'anno. Per qualificarsi per il sostegno finanziario, gli Stati membri dovranno presentare piani per ristrutturare la propria economia e dettagliare i progetti a basse emissioni. I piani avranno bisogno dell'approvazione della commissione. I progetti che includono l'energia nucleare non potranno beneficiare di finanziamenti, ad eccezione di quelli relativi al programma Euratom per la ricerca e la formazione nel settore nucleare.

Cuore pulsante del piano è il Just Transition Mechanism (Fondo per una transizione equa), un fondo che mobiliterà almeno 100 miliardi di euro nel periodo 2021-2027 da destinare alle regioni e ai settori più vulnerabili per favorire la riconversione energetica di tutta l’industria europea che servirà ai paesi più inquinanti per finanziare la transizione e per renderla più equa da un punto di vista sociale. Il Fondo sarà oggetto di uno dei 50 provvedimenti legislativi previsti nei prossimi due anni per l’attuazione del piano e consisterà in tre principali fonti di finanziamento: un fondo da 7,5 miliardi, un regime dedicato nell’ambito di InvestEU da 45 miliardi e un meccanismo di prestito per il settore pubblico in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (BEI) da 25-30 miliardi. I fondi e i programmi che contribuiscono al Piano investimenti del Green Deal europeo (come InvestEU o Just Transition Fund) forniranno finanziamenti su misura per un’ampia gamma di progetti, sia su piccola scala, come ad esempio la riqualificazione energetica degli edifici, che su grande scala, attraverso ad esempio l’installazione di una rete per la ricarica dei veicoli elettrici.

L'Unione europea quindi prevede di dedicare un quarto del proprio bilancio alla lotta ai cambiamenti climatici: 100 miliardi che potranno andare a tutti gli Stati membri, non solo a quelli chiamati a maggiori sforzi per uscire dal carbone.

La distribuzione del denaro tra i paesi membri si baserà su alcuni criteri: tra questi, la presenza di emissioni nocive, l’occupazione nei settori del carbone e della lignite, la produzione di torba o di scisti bituminosi.

Alcuni fattori correttivi verranno presi in conto, come per esempio la relativa prosperità dei singoli paesi membri. Ma «tutti i paesi europei riceveranno un aiuto. L’allocazione dipenderà dall'intensità dei problemi ambientali», ha precisato la commissaria ai fondi di coesione Elisa Ferreira.

Per rendere il continente europeo climaticamente neutro entro il 2050, proteggere le vite umane, ridurre l’inquinamento e nel contempo aiutare le imprese nel campo delle tecnologie e dei prodotti puliti, il piano prevede una serie di misure, tra le quali: decarbonizzare il settore energetico, ristrutturare gli edifici, aiutare le persone a ridurre le bollette energetiche e l’uso dell’energia, sostenere l’industria per innovare diventando leader mondiali nell’economia verde e introdurre forme di trasporto privato e pubblico più pulite, più economiche e più sane. Il documento del Deal mostra che produrre e usare energia comporta oltre il 75 per cento delle emissioni di gas a effetto serra dell’Ue; il 40 per cento dei nostri consumi energetici riguarda gli edifici; l’industria europea utilizza solo il 12 per cento di materiali riciclati e i trasporti rappresentano il 25 per cento dell’impronta di carbonio.

La nuova strategia climatica europea non solo vuole tagliare le emissioni, ma anche creare nuovi posti di lavoro e dare impulso all’innovazione. Il piano procede così – come spiegato dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen– sul doppio binario industria e clima, nell’ottica di una strategia di crescita. Una rivoluzione economica, oltre che ambientale per creare un nuovo modello di sviluppo europeo.

Il piano si dota di un cronoprogramma di obiettivi a medio e lungo termine fra il 2020 e il 2021. Tutt'altro che indicazioni di massima, nelle intenzioni, ma una tabella di marcia con azioni "per stimolare l'uso efficiente delle risorse, grazie al passaggio a un'economia circolare e pulita, arrestare i cambiamenti climatici, mettere fine alla perdita di biodiversità e ridurre l'inquinamento". La prima scadenza è indicata già entro cento giorni: per marzo la Commissione presenterà la prima "legge europea sul clima", che incardinerà nel diritto comunitario l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2050; a seguire la strategia sulla biodiversità per il 2030, la nuova strategia industriale e il piano d'azione sull'economia circolare, la strategia "Dal produttore al consumatore" per una politica alimentare sostenibile e proposte per un'Europa senza inquinamento. Il piano per coinvolgere tutti i settori economici nel raggiungimento dell’obiettivo 2030 sarà invece messo a punto il prossimo ottobre, prima della nuova Conferenza sul clima (Cop) di Glasgow, in Scozia. La fine del 2021 è indicata quale scadenza entro la quale effettuare la revisione della normativa europea sugli aiuti di Stato in linea con gli obiettivi politici del Green deal. Nel 2022 invece le revisioni delle direttive sui trasporti e la proposta di standard più stringenti per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico dei veicoli. In cantiere anche una riforma verde delle politiche sugli aiuti di stato, uno per gli investimenti e il provvedimento Farm to fork per abbattere l’inquinamento, ma soprattutto lo spreco, legato a cibo e pesticidi. Il piano pensa ad estendere anche il sistema di scambio di emissioni al settore marittimo.

Tuttavia la strada del nuovo piano verde è tutt’altro che spianata. Alcuni paesi infatti si dimostrano già molto diffidenti: in particolare Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Va considerato che gran parte delle economie dell’Est si fondano ancora sull’industria del carbone. Dato che la Polonia non ha aderito all’obiettivo di neutralità climatica, gli aiuti finanziari saranno subordinati agli impegni ambientali. Sebbene il fondo sia progettato per convincere i Paesi dipendenti dal carbone come la Polonia ad abbracciare il Green Deal, aiutandoli a superare i costi finanziari e sociali necessari ad allontanarsi dai combustibili fossili con interventi di riqualificazione lavorativa,  supporto per nuove infrastrutture, assistenza per la ricerca di lavoro, investimenti in nuove attività produttive, la grande ambizione della nuova commissione rischia di subire una fortissima frenata.

Secondo voci non confermate, l'Italia otterrebbe ammontari simili alla Francia e alla Spagna: poco meno di 400 milioni di euro (dei 7,5 miliardi di euro).

Interpellato dalla stampa sulla possibilità di utilizzare il denaro per risanare l'impresa siderurgica Ilva, il commissario agli affari monetari Paolo Gentiloni ha detto: il meccanismo comunitario «può riguardare l’Ilva e la Puglia, e in particolare la zona di Taranto, tipica manifestazione come il Nord della Macedonia o altre di regioni europee in transizione verso una industria meno intensiva da un punto di vista energetico. Ciò non vuol dire però che il problema dell’Ilva verrà risolto dal Just Transition Fund».

Trasformare i problemi climatici e ambientali in opportunità, alla luce del Green Deal, sembra più facile.

 

 

 

 

 

 

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